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RICERCATO, VIVO O MORTO! - 24 GENNAIO 2009

CONVEGNO. Scoprire il senso dell’irrevocabile: riflessioni sulla cultura del morire.  Elaborazione di lutto, cordoglio e memoria. SALSOMAGGIORE TERME, PALAZZO DEI CONGRESSI - SALA MAINARDI

In occasione dell’assemblea annuale di SOCREM, con il patrocinio di Comune di Salsomaggiore

INTERVENGONO:

on. Rocco Caccavari, Presidente SO.CREM. “Una scelta di liberta’ ”

arch. Paolo Zermani, Prof. di  progettazione architettonica Università di Firenze. “Tra terra e cielo ”

con la partecipazione di Italo Comelli   e  rev. Fausto Taiten Guareschi

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Istituto Italiano Soto Fudenji
Ricercato, vivo o morto!
Leonida Genshō Gianfagna, V. Myōsen Rovesti
 

Questo il titolo ispiratore del convegno che si è tenuto a Salsomaggiore il 24 gennaio 2009. Il sottotitolo: “Scoprire il senso dell’irrevocabile: riflessioni sulla cultura del morire.
Elaborazioni di lutto, cordoglio, memoria”.
 Invitati come relatori il Dott. Italo Comelli, presidente del Circolo Culturale Astrolabio,
l’arch. Paolo Zermani, professore di progettazione architettonica alla facoltà di architettura dell’Università di Firenze, il Rev. Fausto Taiten Guareschi. L’On. Rocco Caccavari, Presidente della Società di Cremazione SO.CREM di Parma, invitato con la relazione “Una scelta di libertà”, è una voce d’avanguardia a cui teniamo molto, ma questa volta non c’è stato, bloccato per strada dalla neve, e troveremo una prossima occasione d’incontrarlo. Già Consigliere comunale a Parma e deputato per tre legislature, ha favorito l’approvazione della Legge 130, 2001, una svolta fondamentale riguardo alla cremazione, l’affidamento delle urne e la dispersione delle ceneri. Presenti al Convegno l’Assessore alla Cultura di Salsomaggiore Tiziano Tanzi, che è intervenuto con un proprio contributo, e L’Assessore Giorgio Pigazzani (Servizi socio-sanitari – Edilizia residenziale pubblica e privata).

Il nodo centrale, la questione del lutto e della sua elaborazione rituale, non può certo dirsi un tema per specialisti. Ma oggi ostentiamo la “libertà di scelta” dell’uomo come apice di civiltà, e anche la vita è ridotta in maniera solipsistica a questione privata, a oggetto tra gli oggetti sotto il controllo dell’individuo. Non serve scomodare neppure le categorie del sacro per intuire che la vita è qualcosa che ci eccede già solo dal punto di vista biologico, e come tale è apertura verso l’altro nel suo stesso fondamento piuttosto che oggetto autodeterminato. Nascere non è questione privata (vengono in mente anche le parole dell’eclettico cantante-poeta emiliano Lindo Ferretti : nascere non è caso ideologico medico etico, è antecedente all’idea di diritto, suprema conseguenza d’amore) così come non lo è il morire, evento che da sempre l’uomo ha elaborato comunitariamente: studiare il rapporto di una comunità con il lutto è studiare l’intimo fondamento della sua cultura. Un rapporto solidale tra vita e morte è presente in tutte le culture degne di questo nome, sottolinea il Rev. F. Taiten Guareschi, e la cremazione non è soltanto una questione economica, uno stile di sepoltura adatto ai tempi in cui viviamo: non si tratta solo di ridurre il corpo in uno spazio minimo, ma di essenzializzare, distillare, poiché l’uso del fuoco ha carattere trasformativo, ha la funzione di trasformare affinché vi sia un passaggio utile, possibile. Nella cultura buddhista la prima nobile verità è la santa verità del dolore: invece di rimuoverlo in vari gradi e secondo varie prospettive, c’è una progressiva accettazione della vita come sofferenza, integrando e lasciando emergere la mortalità della vita e la vitalità della morte.

Com’è possibile morire felici?”

Ogni civiltà, ci ricorda il Dott. Italo Comelli, in qualche modo tenta di rispondere ala domanda “Come è possibile morire felici?”. La cosiddetta ‘buona morte’ è un fatto culturale. Basti pensare che oggi oltre il sessanta percento della popolazione considera buona morte il trapasso istantaneo, inconsapevole, che magari avviene durante il sonno, modalità di morire assolutamente disdicevole e ingloriosa per l’uomo medioevale.

Ed è cultura come la comunità decide di elaborare il lutto disponendo concretamente del corpo morto, a cui va data una sua degna definitività. E’ la comunità che elabora i riti di accompagnamento della morte, del lutto, della sepoltura. Cremare piuttosto che inumare, esporre all’aria aperta affinché sia preda degli uccelli, o lasciare alle acque la salma dei defunti, sono segni concreti del rapporto che una determinata civiltà ha con la morte, e dietro c’è un popolo, la sua storia, il suo spazio. Buddha è stato cremato, le sue ceneri sono state suddivise e portate in luoghi diversi, quelli che lui aveva frequentato. In Occidente la cultura della cremazione ha radici antichissime, si ritrova anche nelle tradizioni celtiche ed etrusche. Oggi si scoprono i campi di urne, e moltissime sono conservate nei musei dell’Umbria e della Toscana. Se la morte è un passaggio, è il fuoco con il suo potere trasformativo a segnare simbolicamente questo limen.

E’ dalla civiltà romana in poi che si afferma la pratica di seppellire i corpi dei defunti, anche se l’incenerimento era molto apprezzato; aveva un costo elevato ed era quindi più frequente nei ceti più abbienti. Svetonio ci narra del rogo di Giulio Cesare, a cui aveva assistito. I corpi dei defunti troveranno collocazione in posti diversi in dipendenza dalla sensibilità del tempo, lontani dalla città all’inizio, poi nelle chiese vicino ai martiri all’alba del Cristianesimo per poi arrivare ai moderni cimiteri. L’esempio di Parigi ci dà traccia di questo passaggio. Per secoli il Cimitero degli Innocenti aveva ospitato quasi tutti i morti della città. Nel 1700 si sviluppano studi importanti sulla questione e per questioni igieniche l’area cimiteriale è posta fuori dal centro abitato e l’inumazione è individuale, non in fosse comuni; agli inizi dell’800 i tre cimiteri di Père Lachaise, Montmartre e Montparnasse sorgono in quella prospettiva di uguaglianza, dignità e spazio, con cappelle e monumenti a ricordo; molti personaggi di rilievo vi sono sepolti e ancora oggi le loro tombe sono visitate e onorate; 50 anni dopo quei cimiteri sono parte integrante della città, divenuta molto più ampia, e il prefetto G.E. Haussmann, per attuare il progetto dei grandi viali che ancora oggi caratterizzando la Ville lumière, fa spostare gran parte della popolazione e distrugge interi quartieri, ma pur prevedendo la collocazione dei cimiteri fuori città e un collegamento ferroviario per raggiungerli, proposta già approvata dal governo cittadino, non può procedere perché una rivolta popolare impedisce l’allontanamento di quei luoghi della memoria: “Haussmann era riuscito a spostare i vivi, ma non i morti!”. In questo nuovo clima d’arte e cultura ritorna l’idea del passato, quella della cremazione. 

Come si è detto, la novità più recente in Italia è la Legge 130 del 2001, che prevede la conservazione dell’urna presso un familiare o un avente titolo, oppure che le ceneri siano disperse non solo in un cinerario, ma anche in un’area pubblica o privata, con il consenso del proprietario. La scelta della cremazione era già possibile grazie alla legge Crispi del 1878 e le successive leggi sanitarie (1907, Testo Unico 1934), ma a lungo restò un fatto minoritario. Byron ne fu antesignano nel 1822, disponendo a Viareggio il rogo (il primo dopo quello di Cesare) dell’amico Shelling morto in un naufragio, poi sepolto nel Cimitero degli Inglesi a Roma, un evento celebrato in una nota ode di Carducci del 1884. Anche Garibaldi aveva inteso in tal modo il suo congedo definitivo, ma all’epoca la famiglia fu convinta dal governo a non dar seguito alle sue volontà. All’epoca, precedendo altri Paesi, era sorta a Milano una società di cremazione, la SO.CREM, con un forno crematorio al Cimitero Monumentale. Ma mai fino ad ora si era progettato un Tempio di Cremazione, un fatto culturale del tutto nuovo, che implica una nuova ritualità di accompagnamento, a favore di un’elaborazione non solo individuale, ma sociale.

L’uomo, mare di nebbia”

Nella degenerazione tecnologica e utilitaristica della società moderna, la cremazione sembra rispondere solo a criteri di convenienza ed economicità. Da tali istanze di natura pragmatica, ci spiega l’architetto Zermani in un suggestivo viaggio attraverso l’arte e il suo rapporto con il mistero della vita-morte, derivava fino a poco tempo fa l’assoluta mancanza in Italia di strutture, templi o luoghi sacri adibiti alla celebrazione rituale della cremazione.

Dopo una lunga esperienza di opere nell’ambito del’arte sacra e funeraria, Zermani si è cimentato nella realizzazione di un tempio dedicato ai riti di cremazione a Parma. Dimostrando una raffinata sensibilità, ha illustrato, avvalendosi di contributi video, i concetti e osservazioni che hanno orientato le sue scelte architettoniche fino a quest’opera, un’opera prima anche per l’autore. “La storia del paesaggio e dell’architettura occidentali si può riassumere considerando l’immagine di un uomo che, scavando, trova il cadavere di un altro uomo, e in quest’atto, che ha una valenza simbolica ma anche fisica, sta la trasmissione dell’architettura occidentale”. Un’espressione insolitamente forte che ci riporta ai tempi delle fondazioni delle città, dov’era il sangue che la terra chiede, per dirla con J. Hillman, a segnare il luogo sacro dove comincia l’edificazione. La linea-guida del suo percorso è “il rapporto tra l’arte e la ricerca del punto di tangenza tra la vita e la morte, l’infinito”. Partiamo da alcune opere del paesaggista tedesco D.K. Friedrich – la prima che vediamo è “L’uomo, mare di nebbia” – che con l’inglese W. Turner nella prima metà ‘800 capovolge la prospettiva dell’infinito, inseguita e messa a fuoco nei dipinti dei secoli precedenti, ora sfocata con un’immagine che “rimbalza nel petto dell’osservatore”. Un tentativo di “leggere in modo diverso la distanza”, nella crisi della distanza.

Con i racconti di Heidegger – che in “Soggiorni” ci narra della sua ricerca dell’essenza nell’elemento greco’, quello che trova a Delo, la patria dei miti cancellati – i dipinti di Piero Della Francesca, dove cielo e terra sono uniti “come se il cielo non potesse fare a meno della terra” e alcune sequenze di “Nostalghìa” di Tarkovskij, ci accompagna attraverso i suoi progetti, sempre situati al punto di congiunzione tra cielo e terra, “tra spirito e materia, tra ciò che è stato e ciò che dev’essere, quel confine senza il quale non ci può essere arte né verità”. Sempre un’ampia fessura o una colonna di luce naturale demarca l’interno e l’esterno, il sopra e il sotto, segnando un percorso, un passaggio iniziatico, come nelle antiche cattedrali, ma con linee spoglie, essenziali. Il Tempio di Cremazione appare rispetto al paesaggio come un grande altare con due facce identiche, da cui si entra e si esce. Il luogo tecnologico per la trasformazione del corpo trova corresponsione anche dimensionale nel luogo simbolico, la “Sala del Commiato”, pensata per accogliere il rito a cui si intende affidare il passaggio, l’ultimo saluto alla salma da parte dei familiari prima della cremazione. La sala è spoglia di ogni simbolo religioso in un vuoto funzionale all’accoglienza di ogni tradizione, circondata da colonne in mattoni, solo un ambone, un elemento in marmo per pronunciare le orazioni di commiato secondo i diversi riti, segna l’ampio spazio per adunarsi. In due sale più piccole, d’attesa, i familiari possono attendere le ceneri, che vengono restituite. L’elemento simbolico più potente a segnare il transito del corpo verso lo spazio definitivo è l’apertura in fondo alla sala, un’ampia fessura, una colonna di luce naturale alta 10 metri, amplificata tramite lucernai: visivamente il passaggio è affidato solo alla luce, medium di trasformazione del corpo, che dall’oscuro passa e scompare nella luce. “Prima del contatto con il fuoco che lo tramuterà, il corpo è già tramutato perdendosi nell’unione sponsale con la luce, segno di un fuoco talmente vivo da esser bianco”, osserva F. Taiten Guareschi, e pensiamo a quell’inaudita attesa dell’inattingibile, al fuoco che ci accomuna dove in punto di morte scorre gioiosa la vita. Prima dell’ultimo momento. Nel luogo e nei luoghi dove, riuniti insieme nel silenzio e nel lavoro chiarendoci il comune intento, possiamo riscoprire, condividere e proteggere la nostra calda umanità.