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Luisella Campioli

La dispensatrice di colori

Mi chiamo Chiara ed ho quaranta anni. Sono una donna fortunata: ho un marito innamorato, due figli splendidi e due genitori che mi adorano. Ho anche un lavoro che mi gratifica, davvero! Ma quanto tempo si è consumato in ansie e tormenti prima che il mio nuovo incarico nell’ambito dell’amministrazione comunale di cui sono dipendente, diventasse parte di me? Al primo impatto ho avuto un rifiuto. Totale. Ricordo ancora il primo giorno in cui presi servizio dopo il trasferimento forzato cui ero stata oggetto: dopo anni di piacevoli riunioni, trasferte in altre città, relazioni con società sportive e contatti per organizzare concerti, mi sono trovata davanti ad un ufficio totalmente spoglio, con un crocifisso ed un lumino tremolante e come sfondo……come sfondo l’esposizione di bare, di tutti i tipi e dimensioni, ma sempre terribilmente inquietanti. Ero ufficialmente diventata la responsabile dei cimiteri e delle onoranze funebri! Mi sentivo in trappola pensando di dover trascorrere la maggior parte delle mie giornate chiusa in una specie di loculo con vista e con una piccola finestra da cui si intravedevano le tombe del cimitero…… Ma come spesso succede nella vita sbagliavo: quello sarebbe stato il lavoro più gratificante della mia carriera lavorativa. Dopo il primo impatto davvero terribile, ho iniziato ad abbellire la mia scrivania con fiori freschi, le pareti con quadri colorati, i miei pensieri con immagini positive: ed ha funzionato. Ma mi accorsi presto che il problema ambientale era il meno rilevante: il vero problema era il relazionarsi con persone a volte in preda ad un dolore insopportabile e quindi non lasciarsi coinvolgere emotivamente per svariate volte ogni giorno.  Come reggere ad una tale situazione? Come consigliare quale bara acquistare, quali fiori scegliere, quale imbottitura del cofano mortuario abbinare senza farsi stritolare dall’ansia e dal bisogno di piangere? Come avrei potuto reggere ad una tale pressione emotiva? Ed allora mi inventai la mia nuova professione: LA DISPENSATRICE DI COLORI. Avevo notato che per i cofani mortuari venivano usate imbottiture (lenzuolino, cuscino, rivestimento interno) di colore standard: viola per i maschi e lilla per le femmine.  So che può sembrare una sciocchezza, ma a me parve subito molto triste questa usanza monocromatica che non permetteva di esprimere la propria natura…….. così inventai i colori.  Ordinai alle ditte specializzate kit di imbottiture di ogni colore, dalle molteplici sfumature, dalle mille gradazioni: rosa confetto, fuxsia, celeste, blù cobaldo, verde prato ecc. ecc.  “Ad ognuno il proprio colore” era il mio motto e lo consigliavo ai parenti abbastanza indifferenti alla scelta, cercando di recepire dalle loro parole il carattere e le preferenze del defunto in vita,  immaginando mille esistenze diverse, rubando un po’ di quelle vite che non c’erano più, sforzandomi di “pensare a colori” e ai colori e non a quello che mi stava intorno e che dovevo mio malgrado vivere ogni giorno. E così, concentrata assolutamente sul mio compito di dispensare i giusti colori delle imbottiture, riuscivo a creare una barriera fra me e il dolore che mi circondava, riuscendo a svolgere con professionalità il mio lavoro senza morirne. E mentre un padre rovesciava il proprio dolore sulla mia scrivania singhiozzando senza ritegno, mentre un figlio piangeva in silenzio la morte della mamma, mentre un giovane mi raccontava la tragedia dell’incidente stradale del fratello, io mi costringevo a pensare a quale colore fosse più adatto per la circostanza, facendolo diventare il problema più importante da risolvere, problema innanzi al quale, tutto il dolore e tutte le lacrime che mi circondavano, diventavano quasi irrilevanti, triste corollario di una situazione in cui i colori dovevano prendere il sopravvento. In questo modo sopravvivevo alle tragiche situazioni che vivevo ogni giorno, alle chiamate notturne per decessi improvvisi, alle giornate di Natale o di festa in cui ero strappata alla mia famiglia per correre a organizzare funerali…. Tutto andava per il meglio fino a……….. Si chiamava Eluana, aveva 7 anni e la leucemia fulminante. Non vennero i genitori quella volta a farsi dispensare i miei colori, vennero gli zii.  Mamma e papà  non avevano la forza nemmeno di pensare, di respirare. Tutto bianco, cofano, fiori, nastri, ma l’imbottitura no: quella doveva essere rosa, rosa confetto come le sue scarpette da danza classica che indossava quasi ogni giorno…… quella volta non potevo nascondermi dietro a cervellotici quanto falsi problemi di scelta di colori, quella volta me lo dissero direttamente gli zii: volevano gli interni rosa, rosa confetto come le scarpette da ballo di Eluana. Ed io? Non era giusto! Mi era stato tolto il mio filtro, la mia collaudata difesa contro il dolore, contro le ingiuste evoluzioni della vita, era crollato il muro delle mie difese così collaudato, così immune alla disperazione mia ed altrui…… Non era giusto: Eluana era lì, davanti a me, con le sue scarpette rosa, negli occhi pieni di sgomento degli zii, nei pensieri di due genitori tanto straziati da non sapere nemmeno come continuare a respirare. Ed i miei colori? La mia capacità di dispensare professionalità e distaccata competenza nella scelta radicale di colori improbabili? All’improvviso mi ritrovavo nuda davanti al dolore, facile preda della disperazione altrui che diventava così facilmente mia…. E piangere con loro, mentre scrivevo i dati necessari allo svolgimento della cerimonia, fece crollare tutte le difese costruite con tanta fatica rompendo il muro di apparente indifferenza e l’argine di tutte le emozioni trattenute per anni. Ero lì, nel solito ufficio, ma mi perdevo nei miei pensieri e cominciavo a galleggiare in spazi intermedi, quasi come se slittassi attraverso  i miei giorni lasciando una scia sottile come seta di ragno ad indicare il mio cammino. E per una volta sentii il bisogno di partecipare alla cerimonia, di nutrirmi di quel dolore che avevo sempre fuggito per proteggermi…. I genitori chiesero di essere presenti nel momento esatto della cremazione nel prato antistante il forno crematorio per osservare la loro piccola volare nell’aria. Ho ancora  negli occhi il ricordo di quel cielo limpido, privo di fazzoletti di nubi, un cielo di un azzurro accecante, sporcato soltanto dal  filo di fumo nero che violentava quell’uniformità perfetta e splendente, come una ferita che non si sarebbe rimarginata mai più.  E col fumo, da quel camino usciva incredibilmente una parte di me che accompagnava Eluana, pur senza averla conosciuta in vita,  in quell’ultimo viaggio in cui si consumavano sogni e certezze e si consolidava finalmente il suo sonno di pace. Una vasta distesa di milioni di luci, piccole molecole di Lei, punteggiavano quel cielo scandalosamente terso ed indifferente alla  disperazione. Ed io seguivo, con perplessa angoscia, la sua lenta ascesa indovinando anche in quell’ultimo atto, una pesante fatica, come quella vissuta durante la sua giovane agonia, nel tentativo di ricongiungersi con la Natura in un abbraccio senza fine. Improvvisamente nel cielo punteggiato di piccole nubi delicate e bianche, è apparso un baffo rosa, come la coda di una cometa che si nasconde dietro bagliori di luce ed ho capito che Eluana era giunta a destinazione, che stava provando la tenuta di quelle soffici nubi con le sue scarpette rosa…. Eluana finalmente poteva danzare libera chiudendo il suo cerchio della vita, con serenità. Non era un sogno: anche i genitori di Eluana lo vedevano quel baffo rosa e mi sembrava di cogliere l’ombra di un sorriso sui loro volti ormai senza tempo. Quel pugno di cenere che si stringevano al cuore, ancora caldo d’amore, conteneva la loro bambina, ma anche la loro speranza di altre emozioni da condividere con lei. Con negli occhi quelle immagini ancora oggi nel mio lavoro sono una dispensatrice di colori, ma non ho più la leggerezza di un tempo: il muro è crollato ed i colori si sono riversati come tanti proiettili nella mia anima. Non ci si può rassegnare alla perdita di una persona cara, ma ci si può sopravvivere guardando in alto, nel cielo, e cercando fra le mille sfumature dei colori che lo invadono, quel piccolo “baffo” di una sfumatura particolare che ci conforta e ci fa “sentire” fortissima la sua costante presenza. Per questo nel mio lavoro continuo a dispensare colori, con generosità e senza mai perdere entusiasmo: le sfumature sono tante quante le emozioni che ci colorano la vita.