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Ilaria De Amicis

Un soffio di vento

Non tutti possono capire. Non tutti possono avvertire il senso di vuoto che prende la gola e trasforma tutto il tuo mondo, in un attimo, in immagini in bianco e nero: i colori se ne sono andati, tutto sembra dissolversi nel tuo immenso dolore che non ha occhi né orecchie per ascoltare i rumori della vita quotidiana che continua inesorabile.

Tu sei lì, immobile, ormai in pace, ed io vedo un corpo senza vita che non è diverso da pochi secondi fa, solo non si abbassa più in faticosi e sofferti respiri.

I tuoi occhi spalancati sul nulla non bastano a farmi accettare la realtà e cerco di indovinare palpiti di vita dove ormai c’è solo silenzio.

 Chissà se mi hai sentita piangere, chissà se hai capito che stavo per consegnarti all’incognita del tuo ultimo viaggio, chissà se così avresti voluto davvero, chissà se hai percepito l’odore di morte che aleggiava tutto intorno a noi, muti e increduli, nonostante l’aspettativa della morte sia una inevitabile conseguenza della vita.

Tu sei lì, finalmente in pace, ed io vago con la mente per tentare di assorbire quel dolore lancinante e non lasciarmi andare a pianti irrefrenabili che metterebbero in imbarazzo gli astanti.

Chissà perché nessuno ci educa al dolore, chissà perché da quando nasciamo tutti si sforzano di non parlare della morte, della malattia, dei momenti bui: li teniamo lì, nascosti in un angolo, sempre presenti, ma sempre ben celati agli sguardi di introspezione sia personale che collettiva.  Meglio non parlarne, meglio vivere ed insegnare a vivere come se l’eternità fosse a portata di mano ed il problema della fine non ci riguardasse da vicino.

 Chi muore, muore di nascosto.  Chi si ammala è assalito da un senso di vergogna, come se per tacita convenzione fossimo tutti obbligati ad essere sani e felici, per non offrire immagini di dolore al prossimo, per non leggere nei loro occhi la paura ed il rifiuto della presa di coscienza della malattia.

 E le immagini si affollano nella mia mente, con tanto frenetico disordine e inconsistenza.

 Perché non riesco a ricordare i momenti felici di quotidianità di quando eri sano e felice?

 Perché la mia mente visualizza solo immagini di dolore, recenti momenti di disperazione, i tuoi occhi pieni di consapevole abbandono?

A letto, la sera, ti penso solo e freddo, in una cella piena di suoni meccanici, di soffi di brina, di palpiti di ineluttabilità e dormo sperando di sognarti, di farti rivivere nei miei sogni come vorrei vederti davvero e poi svegliarmi e rendermi conto che sì, era proprio tutto un sogno, non era vero niente, tu eri lì, con me, al mio fianco, addormentato e dolcissimo, presenza silente nel mio oggi e nel mio domani.

 Mi sembra di vederti respirare, muovere, scendere le scale, mangiare, uscire in giardino: tutto dolorosamente reale, tanto da dubitare della sanità dei pochi neuroni che sembrano ancora funzionare nella mia testa.

E poi il viaggio verso un'altra città, con te, inconsapevole di quell’ultimo tratto di strada che avresti percorso dopo averne percorsi tanti e tanti in vita….ti ricordi? Il deserto in Giordania, in Marocco,  il caldo soffocante della Siria, a Palmira quando ho rinunciato alla visita alle rovine cui tenevo tanto per stare con te in camper, con l’aria condizionata a mille perché fuori si colava…

Ti ricordi? Sul mar Rosso, ad Akaba, mentre le palme si piegavano al vento bollente e noi eravamo al sicuro sul nostro camper, freschi e rilassati mentre il cielo si colorava di porpora e tutto intorno era avvolto in una magica atmosfera di colori…

Ti ricordi in Russia? Nonostante ci avessero detto che il clima era fresco, aveva fatto tanto caldo, come  per farti un dispetto, tu che odiavi il caldo come me, e ci consolavamo a vicenda bevendo acqua fresca e andando a caccia di improbabili spazi di ombra ben lontani da luoghi che la guida voleva farci visitare…

Sempre al tuo fianco, sempre insieme, sempre con la mente impegnata a ricercare il tuo benessere, quasi come sdebitarmi di tutto l’amore che mi davi tu, incondizionatamente.

Ed ora che sono in questo prato, in mezzo al nulla, davanti a questa struttura che ti farà volare via, guardo quasi con distacco l’operatore che ti deposita nel forno, con cura, quasi con amore, e con grave imbarazzo mi chiede se può procedere...

Scuoto la testa: è un sì? Non so, forse è solo un cenno di rassegnazione, di forzato assenso che non riesce ad avere voce in questo silenzio assordante, col cuore che mi pulsa nelle orecchie e le lacrime che scendono irrefrenabili (ma ne ho ancora? credevo di averle esaurite in questi giorni…)

Ti vedo con gli occhi dell’amore e della disperazione, ti vedo mentre fra i rumori meccanici di quei complessi meccanismi, tu voli via, in un soffio di vento.  Giuro, mi sembra di vedere innalzarsi  da quel camino la tua essenza che si unisce alle molecole di mille emozioni che saturano l’aria.

Ti vedo sereno, in pace, pronto a chiudere il cerchio della tua meravigliosa vita e, fra le lacrime,  mi spunta spontaneo un sorriso sulle labbra.

Le lacrime le assorbe la terra, i sorrisi se li prende la luna: ciao Rocco, adorato compagno di un pezzo della mia vita!

Sono sicura che un giorno ci ritroveremo insieme, non so dove, ma sono certa che esista una dimensione in cui si ritroveranno tutti coloro che hanno donato amore, e fra quelle creature ci sarai sicuramente anche tu, che continuerai a vivere nel mio cuore ed in quella cuccia vuota che mi strazia l’anima.