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DISTACCO E SENTIMENTI


Morire all'epoca di internet

Ho un’amica che ha perso un figlio, un dolore senza riparo. Qualche giorno fa mi racconta che su internet, nelle pagine che poi ha scoperto essere di un sito americano dedicato alle persone scomparse – insomma una sorta di cimitero digitale – ha trovato una pagina dedicata a lui: nome e cognome, data di nascita e di morte, luoghi in cui ha vissuto.  Difficile risalire all’autore, difficile chiedere la rimozione di quell’inserzione pubblicata probabilmente a pagamento. La disturbava profondamente il fatto che ciò fosse accaduto senza coinvolgerla  e senza il suo consenso. “Sono la madre, chiunque l’abbia fatto, anche con buone intenzioni, doveva chiedermelo”. Capisco  la sua reazione che probabilmente sarebbe stata anche la mia, ma mi sono chiesta quante altre volte accadrà e quanto tutto ciò sia solo la premessa di una nuova modalità di ricordare e rendere pubblico, anzi social, la perdita di una persona cara.

 

Da una quotidianità da cui sembrava espulsa, dai discorsi soprattutto, la morte è sempre più presente. Dopo un’epoca di grande rimozione, in cui  la malattia e il fine vita venivano considerati come un tabù, l’uso delle tecnologie e il web ha in un qualche modo aperto uno spazio anche al dolore e al lutto, stati d’animo  che sempre più vengono esplicitati in pagine o profili che sono sì personali ma creati per entrare in  relazione con le altre persone. In un “luogo” che poi tanto virtuale non è visto le ricadute continue che ha sulla nostra realtà.

 

E ci mette di fronte a posizioni controverse come quella espressa da Nadia Toffa, e di cui tanto si è parlato, che ha definito un dono la malattia – un tumore – che si è trovata ad affrontare. Una posizione che può destare perplessità ma che evidenzia il fatto che la malattia può essere vissuta in modo trasformativo, quando ci sono le condizioni, cioè come momento di riflessione e ripensamento, tutto dipende dallo spazio che la malattia lascia.  E in fondo è un modo per rendere accettabile la morte e il limite.

 

FB – il faccialibro - è pieno di profili di persone che non ci sono più, centinaia di post che restano in rete e che continuano a essere visibili, consultabili, nonostante l’autrice o l’autore non sia più in vita, un fatto che ci mette di fronte a nuovo modo di intendere il lutto e sul come elaborarlo. Sul web, come in diversi pensatori hanno evidenziato, resta un nostro corpo digitale che , quando muore il nostro corpo fisico,  continua a sopravvivere come una sorta di spettro. C’è il caso di una ragazza che ha creato uno strumento tecnologico che elaborando tutto ciò che ha pubblicato in rete il suo più caro amico morto in un incidente stradale, le permette di continuare a chattare con lui, anzi come se  fosse lui. E c’è ancora l’episodio di quella madre che ha continuato a scrivere sul profilo del figlio, anche qui, per tenerlo in vita e in relazione con quanti condividevano il suo profilo. La digitalizzazione riguarda anche i funerali in streaming , cosa che può far allibirle, ma in epoche di grande migrazioni, per spostamenti che sarebbero costosi, può consentire di vedere le esequie da uno schermo partecipando da lontano insieme ai familiari.

 

Se può essere consolatorio leggere le frasi, magari proprio l’ultima, scritta dalla persona cara che muore, ha senso per chi è morto lasciare una sorta di ologramma di sé? E per chi resta non è forse una trappola illusoria questo modo di restare in relazione con chi non c’è più? Oggi il digitale ci permette di far in modo che le cose non finiscano, tutto coesiste, ieri col domani, col rischio di restare schiacciati dal passato.

 

E’ un problema  il fatto che non ci preoccupiamo di quello che succede delle nostre password,  dei nostri profili, dei commenti magari scritti in un momento particolare che saremmo pronti a disconoscere una volta tornati alla calma. Di solito non si pensa al fatto che possiamo morire da un momento all’altro ma se non abbiamo programmato prima questa eventualità, si possono creare problemi a chi resta.

 

Per quanto mi riguarda comincerò a pensare alla cremazione del mio essere digitale, certo un percorso particolarmente complesso e difficile,perché dalla rete  non si sparisce ma  si può provare magari pensando per tempo  all’eredità di noi stessi che lasciamo anche sul web che è sempre più mondo del mondo.

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