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Giugno 2003 - A proposito della dispersione delle ceneri e dintorni

di Gabriele Righi

Sono almeno due i crucci degli operatori cimiteriali. Il primo è la difficoltà a farsi ascoltare (i cimiteri diventano priorità soltanto a fronte di emergenze); il secondo è la necessità di aver riguardo anche per il lungo periodo, in un contesto in cui prevalgono le decisioni di breve periodo, ovvero avere la consapevolezza di sistema contro il prevalere di scelte puntuali ed immediate, sulla spinta di ciascun singolo e differente caso che si può presentare.

Accade così che a fronte dell’affermarsi del diritto personale di decidere nel modo più libero possibile le forme di sepoltura e di destinazione dei resti del proprio corpo fino ad estenderle all’affidamento familiare e alla dispersione delle ceneri, venga spontaneo che gli operatori si chiedano che cosa ne sarà dei cimiteri, ovviamente in prospettiva, sicuramente lunga, ma forse non lunghissima.
Può essere utile, per capirne le implicazioni, forzare la situazione fino alle estreme conseguenze ipotizzando cioè una situazione in cui la cremazione sia totalizzante e, all’interno di questa, l’affido familiare e la dispersione delle ceneri diventino prevalenti.
Si romperebbe sicuramente la continuità generazionale della memoria custodita nei cimiteri. Di lì, all’abbandono il passo è breve.
Se la memoria è considerata un valore e un fattore di identità e di conoscenza, non esiste anche a fianco del diritto dei singoli alle scelte un interesse pubblico al mantenimento dei luoghi della memoria? In particolare, non sono i cimiteri i luoghi in cui si ritrova un comune senso di appartenenza e in cui si ricompongono relazioni e si ritrovano persone o ricordi che non si incontrano da tempo, anche al di là dei rapporti parentali?
Siamo forse di fronte, come sostiene Umberto Galimberti, su La Repubblica del 20 maggio 2003, all’ “intenzione di restituire alla gestione degli affetti privati, ciò che resta di una biografia condivisa, invece di abbandonarla in quei luoghi, oggi diventati anonimi, che sono i cimiteri comuni, ritualmente visitati il 2 novembre”?
L’articolo di Galimberti (il titolo è “Ceneri al vento, la fine dei cimiteri”) prosegue con profonde e condivisibili considerazioni sulla morte, sulla condizione umana e sul ruolo dei sepolcri nella storia dell’umanità, ma è a quel “luoghi, oggi diventati anonimi, che sono i cimiteri comuni” che l’operatore cimiteriale.
Allora la questione può essere posta in questi termini: cosa possiamo fare per rendere i cimiteri luoghi meno anonimi? Ancora: perché lo sono diventati?
Da culturale il discorso si fa anche economico. Da diverso tempo è andata affermandosi nelle Amministrazioni Comunali la pratica di utilizzare i proventi delle concessioni cimiteriali, il cui canone - corrisposto in un’unica soluzione – è molto più alto dei costi di costruzione, per tenere conto (si sostiene giustamente) degli oneri di manutenzione che graveranno sull’ente negli anni di durata delle concessioni stesse, servono in realtà per finanziare altri servizi.
Ciò ha comportato una maggior attenzione per le nuove realizzazioni (ampliamenti), che per la manutenzione di quelli esistenti.
Un primo passo, che i Comuni possono compiere, è quindi quello di riutilizzare effettivamente nel settore cimiteriale, tutte le risorse che sono generate dallo stesso. L’altro è quello di migliorare la qualità delle strutture e dei servizi offerti.
Un altro aspetto da considerare è la crescita della pressione edificatoria attorno ai cimiteri, con una riduzione progressiva delle zone di rispetto cimiteriale, per questo spesso si è avuto un utilizzo molto intensivo degli spazi cimiteriali esistenti, creando strutture solo parzialmente riutilizzabili anche data l’altezza eccessiva.
Un’altra condizione di sistema è quella di ottimizzare e razionalizzare la gestione per non scaricare sui cittadini i costi dell’inefficienza gestionale: qui sarebbe molto interessante fare ricerche di benchmarking tra diverse realtà.
Del resto riconoscere il diritto personale di decidere nel modo più libero possibile le forme di sepoltura e di destinazione dei resti mortali, non è solo una questione di norme, esso, infatti, non può prescindere dai costi dei servizi, dal livello dei prezzi e delle tariffe, e, anche, se non soprattutto, dai prezzi relativi tra i comparti che compongono nel suo complesso il settore funerario inteso cioè come settore verticalmente integrato.
Va riconosciuto che per i segmenti commerciali del settore stiamo parlando di un mercato molto particolare, in cui la domanda si traduce in una disponibilità a spendere assai superiore a quella che si manifesterebbe in un mercato perfettamente concorrenziale.
Fatti gli “aggiustamenti” economici e di regolazione normativa del caso, credo si debbano ripensare gli spazi e i luoghi cimiteriali, non per contrastare di fatto ciò che si è voluto riconoscere: le scelte individuali alle quali va effettivamente riconosciuta pari dignità; ma per offrire opportunità rituali, di commemorazione e di ricordo che consentano il mantenimento della memoria e della consapevolezza della nostra condizione. Forse la ricerca dell’equilibrio e della compatibilità positiva tra diritti individuali e interesse pubblico sta tutta qui.
Se saremo bravi in questa ricerca, forse un giorno accadrà che verrà spontaneo portare a casa un fiore raccolto in un giardino dei ricordi in un cimitero